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ambiti e contenuto: Il fondo archivistico della famiglia Marini Clarelli è giunto, come si evince dalla storia della famiglia, insieme a quello dei degli Oddi, all'attuale conservatore, per via ereditaria.
La documentazione copre un arco cronologico che va dal 1881, data del matrimonio tra Maria Vittoria degli Oddi e Luigi Marini Clarelli, al 2007, data di morte di Barbara Marini Clarelli. Bisogna tuttavia segnalare la presenza di carte precedenti al 1881 che spostano l'estremo cronologico indietro fino al 1854: si tratta per lo più di carte personali e quaderni di studio dell'infanzia di Maria Vittoria e Luigi. Il complesso documentario si compone di 1513 fascicoli condizionati in 116 buste. Il fondo comprende lettere, carte personali, quaderni di studio, cartoline, fotografie e annunci funebri. Si segnala inoltre una ricca collezione di reliquie che va dal 1871 al 1959. Inoltre è compresa nell'archivio anche documentazione di natura contabile, afferente all'amministrazione delle aziende familiari che, a seguito di ritrovamento di ulteriore materiale, è stata momentaneamente esclusa da riordinamento e inventariazione. Il fondo è ulteriormente arricchito da archivi aggregati di associazioni e comitati di cui facevano parte vari membri della famiglia e che sono descritti separatamente in quanto fondi autonomi. L'archivio è pervenuto parzialmente ordinato, grazie all'intervento di Angelo Marini Clarelli (1882-196) e sua figlia Barbara Marini Clarelli (1929-2007) che avevano provveduto ad individuare e suddividere le carte in base alla natura, ai membri della famiglia o alla pratica cui si riferivano, fornendo anche, ove possibile, una suddivisione cronologica. Le indicazioni sono state rinvenute sulle buste in cui erano condizionate le carte, su ciascuna era apposta un'etichetta che dove possibile è stata mantenuta. L'indicazione delle etichette trovava riscontro anche nella presenza di fascette cartacee, usate per raggruppare e tenere uniti fascicoli o mazzi di carte, che ne riproducevano le stesse diciture. Della documentazione era stato redatto, sempre a cura di Angelo Marini Clarelli, uno strumento di ricerca dei soli registri contabili. In tempi più recenti (ottobre 2006) è stato redatto dalla Soprintendenza archivistica per l'Umbria un elenco di consistenza che comprendeva l'intero materiale ad eccezione della documentazione di natura contabile rinvenuta nel giugno del 2017. Il lavoro di riordinamento, svolto da gennaio a luglio 2017, ha tenuto conto della suddivisione già presente nel materiale: sono state individuate 9 serie archivistiche, in alcuni casi ulteriormente suddivise in sottoserie. Per informazioni più dettagliate si rinvia alle introduzioni alle singole serie. Il complesso archivistico è conservato, in luogo asciutto e su scaffalature lignee, dalla Fondazione Marini Clarelli Santi, con sede in Palazzo degli Oddi a Perugia ed è, su richiesta, consultabile.
Note: Il fondo è stato ordinato e inventariato da Claudia Ambrosio e Valentina Carola tra gennaio e luglio 2017.
note: Il fondo è stato ordinato e inventariato da Claudia Ambrosio e Valentina Carola tra gennaio e luglio 2017.
ambiti e contenuto: La famiglia degli Oddi è attestata a Perugia fin dal XIII secolo; una tradizione familiare vuole che il casato venga dalla Pannonia, e che quattro fratelli de Oddonibus si siano stabiliti in Umbria dopo essere giunti in Italia al seguito dell'imperatore Federico I Barbarossa: tale tradizione non poggia però su alcuna base documentaria.
I degli Oddi sono ampiamente noti alla storiografia per il sanguinoso conflitto che li vide opporsi all'altro casato perugino dei Baglioni a cavallo tra XV e XVI secolo, e che portò alla loro cacciata dalla città nel 1488.
Di questo periodo travagliato e significativo, conclusosi definitivamente dopo il ristabilimento dell'autorità papale su Perugia nel 1540, non rimane però purtroppo alcuna traccia nell'archivio di famiglia, a parte alcune allusioni nel Libro di ricordi di Sforza degli Oddi.
Proprio Sforza degli Oddi, nato forse nel 1482 e morto nel 1556, è la prima figura di rilievo che emerge dalla documentazione (scarsa infatti quella superstite risalente a suo padre Leonello): dapprima assieme al fratello Vincenzo, quindi, dopo la morte di questi nel 1525, Sforza procede a numerosi acquisti e transazioni di terreni nella zona di Laviano (luogo natale della santa Margherita detta da Cortona, cui la famiglia degli Oddi professerà speciale devozione), al confine con il territorio fiorentino, consolidando così la zona del Chiusi e del Lago Trasimeno come quella su cui graviteranno maggiormente gli interessi della famiglia.
Dai suoi due matrimoni con Vincenza Ranieri e con Giulia di Ludovico degli Oddi Sforza ebbe una numerosa prole: prima di morire si occupò di dividere la sua eredità tra i due nipoti Leonello e Vincenzo (figli del suo figlio di primo letto Cristofano, detto "il Conte", premorto al padre) e i figli avuti dal secondo matrimonio.
Dalle vicende dei sei figli maschi di Sforza e della seconda moglie, Giulio, Angelo, Tiberio, Alessandro, Iacopo e Annibale, emerge il clima di irrequietezza che ancora caratterizzava la vita cittadina, testimoniato dal non infrequente coinvolgimento di alcuni di loro in processi criminali per risse, ferimenti e omicidi. Sarà Angelo (1542-1594) a proseguire la discendenza in linea maschile, sposandosi nel 1584 con Settimia della Staffa, figlia di Scipione della Staffa, dalla quale avrà due figli, Francesco e Maria.
La seconda metà del XVI secolo è caratterizzata dalla lunga controversia con i marchesi della Corgna per la giurisdizione sulla comunità di Laviano, che costituisce un nucleo assai voluminoso e complesso dell'archivio: l'intervento di Angelo nella sistemazione, nella presentazione e nel commento delle carte d'archivio è il primo che si possa rilevare in modo consistente, finalizzato senza dubbio a procurarsi prove e pezze d'appoggio da utilizzare in questa complessa causa, per dimostrare l'immemorabile giurisdizione esercitata dai degli Oddi su Laviano.
Il figlio di Angelo, Francesco (1585-1604), morì giovanissimo: aveva sposato nel 1599 Lavinia di Claudio Boncambi, da cui ebbe Angelo (1602-1647) e Settimia (nata nel 1604, sposata a Pier Antonio Ramazzani). Nei primissimi anni del XVII secolo, dunque, stante la minore età del primogenito, accanto alla madre Lavinia emergono le figure di Scipione della Staffa (che Francesco nel suo testamento aveva indicato, assieme ai suoi due figli Troiano e Annibale, come tutori dei suoi due bambini) e soprattutto del fiorentino Francesco della Torre, uomo di fiducia e "agente" di Scipione, Troiano e Annibale della Staffa in varie questioni legali, in particolare negli strascichi dell'annosa causa coi della Corgna per il possesso della contea di Laviano, conclusasi finalmente con la solenne investitura del piccolo Angelo a conte di Laviano da parte di papa Paolo V nel 1614.
Il matrimonio di Francesco degli Oddi con Lavinia Boncambi determinò anche dei pesi destinati a ripercuotersi per anni sulle finanze della famiglia: nel 1588 il padre di Lavinia, Claudio, si era offerto fideiussore per Giovanni Vincenzo Vitelli per un cambio che questi aveva stipulato con Alessandro Muti, ma, essendo il primo debitore insolvente, per la riscossione dei frutti i Muti si erano rivolti alle sicurtà e ai loro eredi. L'obbligo di pagare i frutti del censo avrebbe fortemente pesato sulle finanze familiari, fino a costringere Angelo degli Oddi (figlio di Lavinia) e poi suo figlio Francesco (1623-1699) ad accendere numerosi altri censi fruttiferi, o prestiti a interesse, con altri, e infine, nel 1681, a vendere a Gio. Antonio Bigazzini per 7100 scudi un censo attivo con la casa Barberini che i degli Oddi avevano ereditato dai Soderini, una mossa che a distanza di tempo un altro discendente, Francesco (1680-1746), deplorava.
La figura di Francesco degli Oddi (1623-1699) domina la seconda metà del XVII secolo: primo figlio maschio di Angelo e Margherita Soderini, sposò nel 1645 Artemisia Bontempi, dalla quale ebbe sedici figli. Del personaggio è stata già studiata da Francesco Santi la passione per l'arte e il collezionismo, che condivideva con il padre Angelo: il nucleo più prezioso della collezione degli Oddi si formò infatti in questo periodo grazie agli acquisti dei due, e comprendeva non solo dipinti e disegni ma anche medaglie (reputate antiche, ma, come scoprì il nipote Francesco qualche tempo dopo, quasi tutte false!); una curiosa testimonianza della sua passione, anche archeologica, è la concessione a effettuare scavi per trovare "tesori" da lui chiesta e ottenuta nel 1685. Di una personalità ambiziosa e da "gran signore" secentesco parlano anche le numerose lettere di "Cardinali, Prencipi, Duchi et Altezze" indirizzate a lui (nonché al padre Angelo e alle loro mogli), invero di interesse relativo per quanto riguarda il contenuto (si tratta per la maggior parte di scambi di cortesie o raccomandazioni), ma accuratamente da lui conservate e archiviate.
Dei numerosi figli di Francesco, il primogenito Angelo (1654-1704) rimane piuttosto in ombra, forse oscurato dalla forte personalità paterna: sopravvisse solo pochi anni al padre, e non rimangono molte tracce documentarie della sua attività. Sposò nel 1678 Cintia Catenucci di Città della Pieve (1664-1740). Dalla storia familiare tragica (il padre Francesco Maria era morto giovanissimo due mesi prima della sua nascita, per le ferite causate dallo scoppio accidentale dell'arma che teneva al fianco, lasciando distrutto lo zio Antonio e segnando così l'estinzione della linea maschile della casa Catenucci), Cintia porta in dote ai degli Oddi i possedimenti e la tenuta detta delle Case Lunghe, presso Città della Pieve, che sempre più nel corso del XVIII e XIX secolo costituirà la maggiore fonte di rendita della famiglia.
Un posto di rilievo nella storia familiare ebbe un altro dei figli di Francesco, Bartolomeo (1669-1750): militare, dapprima, come il fratello Cesare, al servizio della Repubblica di Venezia, quindi nell'esercito pontificio, raggiunse il grado di brigadiere e concluse la sua carriera come governatore delle Armi della città di Ferrara. Alcuni anni dopo la morte del padre, Bartolomeo insisterà per dividere l'eredità con i fratelli superstiti Angelo e Fabrizio (e, dopo la morte di Angelo, con i figli di lui Francesco, Carlo, Ludovico, Longaro e Gio. Battista), in un'operazione che risulterà piuttosto onerosa per la famiglia e che sarà formalizzata nella divisione del 1712 (tra i possedimenti ceduti a Bartolomeo, il castello di Mont'Alto e una parte della collezione dei quadri di famiglia). Bartolomeo si sposò in prime nozze con Aurelia Caprioli, da cui avrà i figli Ferdinando (1710-1782) e Artemisia, sposata a Gio. Battista Veglia. Ferdinando sposò Maddalena Alberti Martinelli, da cui ebbe vari figli, di cui giunsero all'età adulta Oddone (1745-1802), canonico, Filippo (1747-1829), Francesco (1748-1810) e Aurelia (1751-1781). Aurelia sposò Cesare Meniconi, dei maschi Francesco fu l'unico a sposarsi, con Chiara della Staffa, dalla quale però non ebbe figli, per cui questo ramo della famiglia, detto di Porta Sole dal luogo dove sorgeva il palazzo abitato da Bartolomeo e i suoi discendenti, si estinse all'inizio del XIX secolo. Tra il XVIII e il XIX secolo vi sarà ancora qualche strascico legale fra i due rami della famiglia, anche dopo la morte di Francesco nel 1810, con i Meniconi e i Veglia, altri discendenti di Bartolomeo.
I primi decenni del XVIII secolo sono caratterizzati da varie tensioni nei rapporti familiari: oltre alla disputa con lo zio Bartolomeo, si accendono contrasti anche tra i quattro fratelli Francesco (1680-1746), Carlo (1682-1762), Ludovico (1683-1726) e Gio. Battista (1686-1766), figli di Angelo. Si avverte dietro anche la forte personalità della madre Cintia Catenucci, tutt'altro che relegata al ruolo di anziana vedova; per qualche anno l'amministrazione del patrimonio familiare è affidata a Ludovico, arciprete della cattedrale di Perugia, mentre le speranze di successione sono riposte inaspettatamente nel secondogenito Carlo, che sposa nel 1712 Giustina Patrizi. La dote dovuta dal fratello di quest'ultima, Bernardino Patrizi, verrà ampiamente utilizzata per ripagare vari debiti della famiglia, specialmente con i conti Ruggero, Tiberio e Valerio Ranieri; altri motivi di liti e irrequietezza sono i due sfortunati matrimoni dell'altra sorella Lavinia (1684-1758) e la sistemazione delle sue tre giovanissime figlie di primo letto, Francesca, Angela e Marianna Arrigucci.
Carlo degli Oddi (1682-1762), anch'egli militare per la Repubblica di Venezia come lo zio Bartolomeo e come il fratello minore Gio. Battista dopo di lui, fu quindi castellano della Fortezza di Perugia dal 1732 circa al 1762; nel 1723 prese in affitto per un sessennio la tenuta di Laviano dalla madre. Nel 1756, assieme al fratello Gio. Battista, istituì una primogenitura sui terreni di Città della Pieve in favore di Angelo, figlio del loro defunto fratello Francesco, e dei futuri maschi primogeniti della famiglia.
Oltre ad altre sorelle monache e a un altro maschio, Longaro (1685-1773), gesuita, autore di varie opere devozionali, merita di essere ricordata brevemente anche la biografia dell'ultimo figlio maschio di Angelo e Cintia Catenucci, il già ricordato Gio. Battista: anch'egli militare al servizio della Repubblica di Venezia, nel corso della seconda guerra di Morea fu fatto prigioniero dagli ottomani. Condannato "a custodire le mule del Sultano", uscì dalla schiavitù nel 1715 pagando un riscatto di 9000 scudi, divisi a metà tra la famiglia e la Repubblica di Venezia. Finì la sua carriera attiva come Governatore delle Armi del Ducato di Urbino e provincia di Montefeltro dal 1736 al 1744, per poi ritirarsi a vita privata a Perugia, dove morì nel 1766.
Visto che dal matrimonio di Carlo e Giustina Patrizi erano nati solo due gemelli nati e morti nel giro di pochi giorni nel febbraio 1714, e visto che Gio. Battista aveva espresso l'intenzione di non sposarsi, arrivò quindi il turno del primogenito, Francesco, che per qualche motivo non chiarito dalla documentazione sembra essere stato a lungo sfavorito dalla madre, di contrarre matrimonio. Francesco sposò nel 1727, a quasi cinquant'anni di età, la romana Faustina Amadei, di lui molto più giovane (era nata nel 1706): stavolta i figli arrivarono numerosi, e di questi otto (quattro maschi - Angelo, Ludovico, Cesare e Luigi - e quattro femmine - Margherita, Teresa, Francesca e Artemisia) raggiunsero l'età adulta.
La personalità di Francesco emerge con molta forza dalle carte d'archivio: proprio per via del suo matrimonio tardivo, era consapevole che non sarebbe probabilmente vissuto tanto a lungo da vedere i figli adulti, per cui nei primi anni trenta del XVIII secolo avviò una vasta, e per certi versi commovente, opera di riorganizzazione dell'archivio di famiglia, selezionando i documenti per lui più importanti e significativi e corredandoli di un suo commento, in forma di lettere indirizzate ai figli (all'epoca ancora bambini), in cui narrava episodi importanti della storia della famiglia, spiegava le proprie scelte nell'amministrazione del patrimonio (e spesso criticava quelle dei suoi antenati) e forniva consigli e ammaestramenti utili. Ne emerge una figura giudiziosa, seria, rigida, a volte persino pedante, ma capace di teneri e sinceri slanci di affetto verso i figli. Questa serie è stata intitolata dal primogenito Angelo "Interessi di Casa" ed è un'importante fonte di notizie e curiosità sulla storia della famiglia del XVII e inizio XVIII secolo. La meticolosa opera di "ricerca storica" di Francesco ebbe anche immediati risultati pratici, portando alla scoperta di un credito mai riscosso con la famiglia Ansidei.
L'oculatezza e la visione pratica degli affari sembrano caratterizzare anche i due figli maggiori di Francesco, Angelo (1730-1794) e Ludovico (1731-1800). Il primogenito, appena uscito dalla tutela della madre, nel 1752, prende con decisione in mano la gestione del patrimonio familiare: le carte di questo periodo, oltre a essere quantitativamente più numerose, vedono il suo intervento diretto nella conduzione delle aziende agrarie di Città della Pieve (denominata delle Case Lunghe) e di Laviano; i registri e le carte di questo periodo sono quasi tutti di suo pugno. Angelo prosegue e amplia il progetto di riorganizzazione dell'archivio familiare avviato dal padre, e nel 1765 sposa Angela Cospani, unica figlia del nobile Agostino Cospani di Todi: grazie a questo matrimonio e a questa eredità i degli Oddi entrano in possesso della tenuta di Monte Castrilli. In quest'opera di riorganizzazione e razionalizzazione Angelo è aiutato dal fratello Ludovico, collaboratore prezioso: l'archivio degli Oddi è avaro di notazioni più private e "intime", ma sembra di poter rilevare tra i due fratelli un'armonia piuttosto rara in altre epoche (e che per la verità sembra spesso mancare anche negli stessi rapporti con gli altri loro fratelli). Mentre Angelo è più concentrato sull'amministrazione del patrimonio familiare, Ludovico ha una vita pubblica più intensa. Si laureò in diritto civile e canonico a Perugia nel 1759, e da quello stesso anno iniziò a insegnare presso l'Università; nel 1766 fu nominato Rettore del Collegio della Sapienza Vecchia. Consultore presso il Tribunale del Nobile Collegio della Mercanzia, fra le sue carte si trovano numerosi dossier su cause di sua pertinenza o conflitti in cui viene chiamato a svolgere un ruolo di mediatore, e dubbi e pareri legali da lui redatti. Nel 1769 venne nominato dal Consiglio generale della città di Perugia "Agente, ossia Ministro residente di questa stessa Città da ritenersi in Roma per accudire alli pubblici affari ed interessi, a norma ancora di quel tanto che vien praticato dalle altre Città più cospicue dello Stato Ecclesiastico", con un assegnamento annuo di scudi 300: fino al 1796, dunque, la sua residenza principale fu a Roma. Fu anche abate commendatario di S. Antonio abate di Fabriano e dell'abbazia dei SS. Vito e Modesto di Montali (Panicale), da cui la presenza di parte degli archivi di queste istituzioni. Anche negli ultimi anni di vita è attivo in due imprese ambiziose, l'impianto a Perugia di una Zecca per coniare monete di rame (di cui si conserva il piccolo archivio) e una fabbrica di pannilana.
Morti Angelo nel 1794 e Ludovico nel 1800, i cinque fratelli (figli di Angelo) Francesco Maria, Carlo, Longaro, Fabrizio e Gio. Battista, nominati eredi universali in parti uguali dal padre, scelgono nel 1801 di procedere alla divisione dell'eredità. Mentre Fabrizio e Gio. Battista lasciano Perugia (il primo si stabilirà a Firenze, il secondo vivrà a lungo all'estero, ricoprendo anche la carica di console pontificio a Corfù) e Carlo prosegue nella carriera ecclesiastica fino a divenire arciprete della cattedrale di S. Lorenzo, Francesco Maria e Longaro rimangono in società a gestire il patrimonio familiare, fino alla definitiva separazione nel 1804.
Negli ultimi anni del XVIII secolo e nei primi due decenni del XIX sembra soprattutto Longaro, con l'assistenza dell'abate Pietro Santi, "ministro di casa degli Oddi", ad aver cura degli affari, anche se le scritture di questo periodo sono più disordinate e meno curate rispetto a quelle tenute dal padre Angelo: sembra anzi che la custodia dell'archivio fosse di competenza di Longaro, come indica una lettera del 17 aprile 1823 da lui indirizzata da Firenze a Santi a Perugia (" Le Chiavi della Computisteria [= l'archivio], ritenetele presso di voi, e bisognandoli qualche cosa mi farete piacere di prestarvi personalmente, essendo io responsabile di tutte le carte che vi esistono "), ma da un'altra lettera dell'ottobre dello stesso anno di Santi a Longaro si apprende che le carte si trovavano in grande disordine (" A dir vero mio Signor Conte si è trovato l'archivio in stato da far pietà! Si è veduto nulla esistere di quanto può riferirsi agli attuali Interessi di famiglia; in somma non vi sono che rancidumi di lettere, e libri di antica amministrazione affatto inconcludenti").
Nel 1807, nel frattempo, Francesco Maria (1766-1840) aveva sposato, anche lui non più giovanissimo, la romana Vittoria Sacripante (1787-1854), da cui ebbe i figli Margherita, Giacinta, Angelo e Oddo. Dilettante di poesia (era noto in Arcadia col nome di Argilio Oroneo), nel 1819 Francesco nominò la moglie amministratrice del suo patrimonio. Da questo momento, le carte lo vedono comparire sempre più di rado, mentre la corrispondenza e la contabilità passano tutte per le mani della moglie. Emerge anche la figura di Antonio Graziani Amori, "agente" dei degli Oddi alle Case Lunghe dal 1819 al 1860 (anno della sua morte), ma in effetti anche "braccio destro" di Vittoria e della famiglia degli Oddi in molte altre circostanze.
Alla morte di Francesco (1840), il patrimonio passa ai due figli maschi Angelo (1814-1871) e Oddo (1820-1900): eredi pro indiviso, i due fratelli giungono in seguito alla divisione del patrimonio nel 1846.
Membro dell'Accademia del Casino che gestiva il Teatro del Pavone e di varie confraternite e associazioni caritatevoli, nonché per vari anni consigliere comunale di Città della Pieve, Angelo intervenne decisamente nell'ordinamento dell'archivio di famiglia (di suo pugno molte etichette e camicie dei fascicoli), proseguendo un'opera già avviata da sua madre. La documentazione che lo riguarda è quella maggiormente conservata, con numerosi fascicoli di corrispondenza e di pratiche da lui formati. Mentre si dedicò negli anni sessanta del XIX secolo anche a lavori di ristrutturazione del palazzo di Perugia, gli fu però particolarmente cara la villa di Monte Freddo, presso Pilonico Materno, luogo di frequenti villeggiature e che a metà del XIX secolo vide numerosi abbellimenti e miglioramenti, specialmente nell'area del giardino (la cappella di famiglia a Monte Freddo sarà inoltre scelta da Angelo come luogo per la sua sepoltura).
Nel 1850 Angelo aveva sposato Maria Cardelli di Roma, da cui aveva avuto un'unica figlia, Maria Vittoria (1858-1942). Il decreto di abolizione dei fedecommessi e delle primogeniture voluto da G.N. Pepoli al momento dell'annessione dell'Umbria al Regno d'Italia, nell'ottobre del 1860, che stabiliva che quelli creati precedentemente fossero sciolti nel "possessore attuale", aveva fatto sorgere una vertenza tra Angelo e il fratello minore Oddo, il quale premeva perché venisse riconosciuto che al momento dell'abolizione la primogenitura spettava ormai al suo primogenito, non avendo avuto Angelo figli maschi, risolta con una conciliazione tra i due fratelli nel 1863.
Angelo morì il 30 dicembre 1871 e, dopo la gestione della vedova Maria Cardelli per conto della figlia Maria Vittoria, il matrimonio di quest'ultima con Luigi Marini nel gennaio 1881 è stato scelto come data finale dell'archivio della famiglia degli Oddi, sebbene la documentazione prosegua ovviamente senza soluzione di continuità nell'archivio Marini Clarelli, e sebbene vi siano alcuni documenti sparsi posteriori.
storia archivistica: L'archivio degli Oddi, prodotto nei secoli dai vari membri della famiglia e specchio della loro attività di relazioni, di gestione del patrimonio e di attenzione per il proprio passato, è tuttora conservato nel suo luogo di origine, il Palazzo degli Oddi-Marini Clarelli di Perugia, sede della Fondazione Marini Clarelli Santi. Questa continuità anche spaziale delle carte conferisce ancora maggior valore all'archivio, davvero "testimone" della storia di persone, luoghi, contesti, scambi. Il lavoro di riordinamento, svolto dall'aprile 2015 al dicembre 2016, ha cercato di dare conto di questo carattere di crescita organica e di formazione progressiva dell'archivio ricostruendone per quanto possibile, secondo il metodo storico, la struttura originale, o meglio la struttura nelle sue varie configurazioni pensate per rispondere al meglio alle esigenze dei soggetti che di volta in volta si servivano dell'archivio.
Sebbene le origini della famiglia degli Oddi siano, al di là del mito e della rappresentazione encomiastica, tuttora oscure, essa è presente a Perugia almeno sin dal XIII secolo: purtroppo quasi nulla è rimasto della documentazione per i secoli più antichi, fino alla metà del XV secolo. Tale grave lacuna è spiegabile con i rovesci subiti dalla famiglia nel corso della sanguinosa guerra per il predominio sulla città con la consorteria rivale dei Baglioni, che determinò, oltre alle morti e alle perdite finanziarie (come scrive a metà del XVI secolo Sforza degli Oddi, "de li nostri de casa de li Oddi ne sonno in quarantacinque anni periti più de quaranta et robbe più de cinquecento milia fiorini de valuta"), probabilmente anche la distruzione o la dispersione dell'archivio di famiglia. Rimangono documenti isolati, per lo più contratti di compravendite di terreni, spesso in copia e raccolti posteriormente per memoria (cfr. Archivio degli Oddi, reg. n. 381, "Libro dei contratti di Leonello degli Oddi e Sforza degli Oddi"). Altro materiale di carattere vario è conservato presso l'Archivio di Stato di Perugia.
La documentazione diventa numericamente più consistente e organizzata a partire dalla metà del XVI secolo: nulla si può dire sull'ubicazione o sull'ordinamento delle carte in questo periodo, ma su di esse si possono rilevare i primi interventi e le prime note archivistiche, in genere dei semplici titoli utili per cogliere con immediatezza l'oggetto del documento (ad es. "Scripta de la casa che era de meser Ieronimo"). Questo è evidente soprattutto con Angelo degli Oddi (1542-1594), il quale, anche per motivi contingenti (la causa con i marchesi della Corgna per la giurisdizione su Laviano, presso Castiglione del Lago), compie un accurato lavoro di selezione, regestazione e fascicolatura dei documenti più adatti a dimostrare le ragioni e le prerogative della famiglia, oltre a tenere una vivace corrispondenza con chi, a Roma, si occupava della causa. Le sue note sono rilevabili sul retro dei documenti (che dai segni di piegatura e dal posizionamento delle note archivistiche è intuibile venissero conservati piegati più volte fino a raggiungere le dimensioni di stretti rettangoli) o sui margini superiore e sinistro dei fogli; non sono state trovate segnature o indicazioni che possano far capire come i documenti venivano collocati o reperiti sugli scaffali quando necessario. Lo stesso sistema è adottato anche da chi si occupa dell'archivio dopo Angelo, ma ancora per tutto il secolo XVII non è facile capire la struttura dell'archivio o le serie antiche, ad eccezione del gruppo delle "Lettere di Prelati, Cardinali, Prencipi, Duchi et Altezze", un'indicazione che si trova ripetuta (con alcune varianti) sul retro di alcune di queste missive, già ben individuate come serie fin dall'origine e poi accuratamente ordinate e descritte nel secolo XX.
In assenza sfortunatamente di un inventario antico, dunque, gli indizi fondamentali che hanno consentito di intuire quale fosse la struttura dell'archivio, per lo meno a partire dalla prima metà del XVIII secolo, sono emersi necessariamente dall'esame e dallo studio delle carte stesse. In particolare prezioso è stato il rinvenimento di etichette in cartoncino di piccole dimensioni, probabilmente applicate sui cassetti o gli scomparti di una "scanzia" (si veda più avanti), che abbinavano un titolo a un numero d'ordine in cifre romane, a formare un elenco (da 1 a 56, ma alcuni numeri non sono stati trovati) che comprendeva indifferentemente fascicoli di singole pratiche o serie (ad esempio "Interesse Bonapace nº VII", o "Testamenti diversi nº XXVIII"). A queste etichette, molto probabilmente, è da riferirsi l'indicazione contenuta alle cc. 10v-11r della "Copia dell'Inventario delli Beni e Mobili della Casa de Signori Conti Degli Oddi" del 1752: vi si legge che, nel Palazzo di Perugia, nella stanza denominata "Scrittorio", si trovava una "Scanzia con molti spartimenti per commodo di tenervi le scritture, ciascuno de quali spartimenti è numerato e segnato di fuori, e contiene rispettivamente le scritture come qui appresso si nota" (segue l'elenco dei fascicoli).
L'indicazione delle etichette trovava riscontro anche nella presenza di fascette cartacee, usate per raggruppare e tenere uniti fascicoli o mazzi di carte, che ne riproducevano le stesse diciture e, infine, nel rinvenimento di una carta (scritta sicuramente alla fine del XVIII secolo o all'inizio del XIX, ma riproducente la struttura pensata nei decenni precedenti) con l'elenco delle serie e unità dell'archivio (di nuovo, si tratta delle diciture presenti sulle etichette e sulle fascette).
Dall'esame delle carte d'archivio è stato possibile identificare la mano che ha scritto gran parte delle fascette: è quella di Angelo degli Oddi (1730-1794), ma è probabile che egli proseguisse o si basasse su un lavoro avviato già da suo padre, Francesco degli Oddi (1680-1746), al quale si deve la creazione e la sistemazione di una serie compatta di documentazione, notevole non solo per la rilevanza delle notizie contenute e il lavoro di ricerca e di descrizione, ma anche per la componente più esplicitamente "affettiva" di cui è investita. Infatti, la serie degli "Interessi di Casa" (questo titolo è però probabilmente del figlio Angelo), formata da Francesco a partire dal 1732, è composta da fascicoli (in origine non dovevano essere numerati, la numerazione da 1 a 77 è posteriore, opera sempre di Angelo) che presentano alcuni documenti fondamentali per la storia e per alcuni affari correnti della famiglia, corredati da camicie e titoli originali e spesso da lettere autografe di Francesco indirizzate ai suoi figli, da leggersi presumibilmente dopo la sua morte, data la sua età già avanzata e quella molto tenera di questi ultimi, che ne spiegano e commentano il contenuto. Una vera e propria serie di "istruzioni", ragguagli e ammonimenti per spiegare la situazione finanziaria della famiglia, i motivi di alcune sue scelte e consigliare i futuri amministratori e capi della casata su come gestire al meglio il patrimonio familiare (e magari evitare alcuni errori del passato!), che riemerge solo ora che, con il riordinamento, sono stati rimessi in evidenza la consequenzialità e lo stretto vincolo fra le carte, prima sconvolto e obliterato da interventi successivi, di cui si parlerà più avanti.
Anche alcuni titoli dei fascicoli degli "Interessi" si trovano, oltre che sulle fascette, sul retro delle carte stesse nella calligrafia di Francesco, per cui è appunto possibile che Angelo, nella seconda metà del XVIII secolo, si sia basato, per la sistemazione dell'archivio, su un progetto concepito o già avviato da suo padre.
Come tutti gli archivi familiari (ma si può dire degli archivi tout court), anche quello dei degli Oddi muta e si trasforma in accordo con la personalità e le esigenze di chi si assume il compito di gestirlo e di organizzarlo. Una delle difficoltà del lavoro di riordinamento è stata infatti quella di recuperare una struttura comprensibile e omogenea che allo stesso tempo non annullasse le modifiche, le fratture, l'evoluzione dei criteri e in qualche caso anche le ripetizioni e le incongruenze sorte in un archivio dalla vita così lunga e con una gestione più fluida e meno regolamentata di quella di un ufficio o di un ente.
Difatti, negli ultimi anni del XVIII secolo e nei primi decenni del XIX la struttura e l'ordine pensati nei decenni precedenti vengono abbandonati, o applicati con minore precisione. Ciò è evidente anche se si esamina i registri contabili dell'epoca per l'amministrazione delle varie aziende agrarie di famiglia, tenuti con meno cura che in passato. Si notano ancora alcune indicazioni di mano di Ludovico degli Oddi (1731-1800), fratello minore di Angelo, che abbinano titoli dei fascicoli a lettere dell'alfabeto, da collegare probabilmente ad alcuni piccoli talloncini cartacei che riportano appunto lettere dell'alfabeto ritrovate fra le etichette, ma non è stato possibile ricostruire con maggiore precisione questa particolare fase dell'archivio.
Un vivido resoconto della situazione così come si presentava all'inizio del XIX secolo ce lo forniscono alcune lettere che, più o meno diffusamente, fanno riferimento all'archivio. La prima è una lettera di Longaro degli Oddi (1771-1860) al fratello maggiore Francesco (1766-1840) del 14 gennaio 1809, in cui si legge "[...] In occasione di questa vostra venuta [in Roma], portatemi tutte quelle carte e quinternetti che anno [sic] il loro occhio [?] risguardanti gli Interessi di nostra Famiglia, e che esistono in Arc[h]ivio sopra il tavolino, il quale è posto sotto la fenestra che riguarda l'Orto di S. Croce, giacché può essere che siavi una notizia che possa giovarci; e per darvi una qualche notizia vi dico che deve essere una vendita di un censo in scudi 7100 proveniente dall'eredità Soderini con il card. Barberini e venduto al Conte Bigazzini per scudi 700 di meno" (cfr. Archivio degli Oddi, fasc. 88, c. 24). Ancora nel 1823, quindi ben dopo la definitiva divisione del patrimonio tra i fratelli, era sempre Longaro il responsabile dell'archivio (tra l'altro è lui che scrisse il foglio con l'elenco delle serie e delle unità "settecentesche" di cui sopra), come conferma una lettera del da lui scritta da Firenze a Pietro Santi, "ministro della casa degli Oddi", il 17 aprile 1823: "[...] Le Chiavi della Computisteria [cioè l'archivio], ritenetele presso di voi, e bisognandoli qualche cosa mi farete piacere di prestarvi personalmente, essendo io responsabile di tutte le carte che vi esistono..." (cfr. fasc. 88, c. 15). Qualche mese dopo, nell'ottobre dello stesso anno, un'altra lettera, stavolta di Santi a Longaro, getta luce finalmente sul concreto stato dell'archivio a quell'epoca. La lettera è datata 19 ottobre 1823 (cfr. fasc. 88, c. 51), e la riproduciamo quasi integralmente:
"Il Signor Conte Francesco per diversi suoi affari di massima importanza si è trovato nella necessità positiva di fare ricerca di alcune carte, che sapeva dovere esistere in archivio. A tale effetto me ne ha richiesto la chiave ed io mi sono ricusato di consegnarla atteso il divieto da Lei fattomi con la Sua lettera del dì ***. Egli però oltre avermi manifestata la positiva necessità di fare questa indagine, mi ha fatto conoscere ancora che in forza dell'ultimo istromento di divisione Lei non ne sarebbe che il custode precario cioè fintantoché avesse ultimate alcune sue cause. In vista di ciò anziché ostinarmi d'avvantaggio io stesso sono acceduto ad aprire e ad essere presente alle ricerche.
A dir vero mio Signor Conte si è trovato l'archivio in stato da far pietà! Si è veduto nulla esistere di quanto può riferirsi agli attuali Interessi di famiglia; in somma non vi sono che rancidumi di lettere, e libri di antica amministrazione affatto inconcludenti.
Anche Monsignor Arciprete [Carlo degli Oddi, un altro dei fratelli] avea ed ha necessità di vedere le carte relative alla Cappella Baldeschi, ma neppure queste si sono rinvenute. Non so esprimere il rammarico che ciò abbia creato a tutti.
Attesa la mia volontà di non volere consegnare la chiave ad alcuno il Signor Conte Francesco ha chiesto di fare almeno un inventario de' rimasugli. Monsignor Arciprete ha approvato pienamente la domanda insieme colla Signora Madre [Angela Cospani degli Oddi], onde, alla presenza di due testimoni e mia, si è redatto in doppio originale firmato dai testimoni, non meno che dalla Signora Madre, Monsignor Arciprete, Signor Conte Checco e me, ritenendone una copia il Signor Conte Checco, ed altra io insieme colla chiave.
Rapporto al Medagliere che si vede avere subito egual sorte delle carte, non si è fatto alcun inventario, ma bensì insieme con il canterano è stato fissato con due sigilli [...]
Tanto si è creduto di fare. Io credo che non avrà motivo di dolersi di questo mio operato avendo servito così alla giustizia non meno che agli ordini suoi. E le ne rendo esatto ragguaglio tanto in adempimento de' miei doveri, quanto perché mi dia contezza delle carte e medaglie mancanti per tranquillizzare così il Signor Conte Checco, e Monsignor Arciprete, non meno che me medesimo come detentore delle chiavi. [...]"
Purtroppo, di questo "inventario" datato 1823 non esiste più alcuna traccia, rimangono solo alcune annotazioni delle spese fatte per la sua redazione, nel registro delle entrate e uscite del biennio 1822-1824: il giorno 14 ottobre 1823 viene spesa la somma di 1 scudo e 15 baiocchi "per l'Inventario dell'Archivio di Casa in due originali l'uno per Casa, e l'altro per Pietro Santi Custode del medesimo" e vengono pagati i portantini "che hanno portato due giorni consecutivi da Fonte Nuovo in Casa il sopradetto Santi per la confezione del detto Inventario", mentre il giorno dopo vengono acquistate per 1 scudo e 80 baiocchi "libre sei di Cioccolata data al Dottor Francesco Duranti in gratificazione per avere disposto il sopradetto Inventario" (cfr. Archivio degli Oddi, reg. n. 852, "Vacchetta per le Spese di ogni sorte fatte da Vittoria Sacripante Degli Oddi, con le respettive recapitolazioni parziali, e generali, ed introito di danaro negli anni dal primo Maggio 1822 al 15 Maggio 1823 e dal 15 Maggio 1823 al 15 Maggio 1824", p. 68). Forse sono riferibili a questo lavoro di riordinamento alcune etichette cartacee e fascette, in cui si riconosce la mano di Vittoria Sacripante degli Oddi (moglie di Francesco e dal 1819 amministratrice del patrimonio del marito); un gruppo di 31 unità (nn. 412-442), per lo più contratti e istrumenti notarili, riunite sotto la dicitura di "Carte consegnate dal Signor Conte Longaro Degli Oddi per essere conservate nell'Archivio di Famiglia questo dì 16 Aprile 1826", fa pensare che prima di questa data l'archivio, oltre a essere come si è visto in totale disordine, fosse anche suddiviso in più luoghi (forse a Firenze, residenza temporanea di Longaro?).
Dagli anni venti del XIX secolo l'archivio viene quindi presumibilmente riunito nella sede del Palazzo di Perugia e passa sotto la gestione di Vittoria (il "custode" P. Santi morì nel 1826), attenta e scrupolosa amministratrice del patrimonio familiare: il suo intervento si rileva appunto soprattutto nell'apposizione delle fascette cartacee che indicano i titoli dei fascicoli di corrispondenza (sua e del marito) o di determinate pratiche correnti; di suo pugno anche i dettagliati registri delle entrate e delle uscite dal 1819 al 1844 circa, anno in cui la donna comincia a cedere la gestione degli affari ai figli. Le scritture contabili, in particolare quelle della tenuta delle Case Lunghe, presso Città della Pieve, redatte con grande precisione dell'agente Antonio Graziani Amori, sono tenute con maggiore coerenza e rigore che in passato.
Anche il figlio di Francesco e Vittoria, Angelo degli Oddi (1814-1871), ebbe cura dell'archivio e, a differenza della madre, studiò e cercò di riordinare anche le carte di famiglia più antiche, formando fascicoli e assegnando titoli di sua invenzione (scritti sulle camicie, spesso di riuso, o sul retro dei documenti) che, in alcuni casi (specie ove non erano presenti titoli originali), si sono rivelati preziosi, durante il riordinamento attuale, per trovare e ricostituire unità che in fasi successive erano state separate e per avere un'idea dell'oggetto della pratica, in altri invece (sempre per quanto riguarda la parte dell'archivio per lui "storica" e non più corrente) erano troppo generici, per cui nel riordinamento attuale si è cercato di ristabilire, ove possibile e opportuno, l'intitolazione originale e la situazione precedente al suo intervento, o quanto meno di precisare meglio gli oggetti dei fascicoli. Ovviamente sono stati invece mantenuti i fascicoli da lui creati per le sue pratiche correnti, che Angelo chiama di preferenza "Posizioni" (termine che appunto, come "Interesse", già incontrato, indica genericamente "affare", "pratica").
Gli interventi più rilevanti fatti in questo periodo sono alla serie dei "Contratti" e a quella delle "Ricevute" di pagamenti vari. Alcuni contratti a partire dal XVII secolo, ma con la netta prevalenza di quelli del XIX secolo, vengono numerati da Angelo da 1 a 143 (l'ordine non è rigorosamente cronologico; gli ultimi numeri sono opera della vedova di Angelo) e regestati (numero e regesto, che riporta la data, la descrizione dell'azione giuridica, gli attori e il nome del notaio, si trovano in genere su una piccola etichetta cartacea unita al documento con un filo) e riportati quindi in una "Nota degli Istromenti che sono nell'archivio di casa, ossia che sono in mani del Conte Angiolo degli Oddi"; fra i contratti scelti si trovano soprattutto compravendite di terreni e immobili, ma anche quietanze, capitoli matrimoniali, affitti e altro, secondo un criterio di selezione non chiaro.
Per le ricevute, Angelo sceglie un criterio di ordinamento per anno, sistemando in tal modo le ricevute a partire dall'anno 1712 (rimangono esclusi le ricevute più antiche e anche alcuni fascicoli ordinati per "causale" dei pagamenti) fino alla sua morte nel 1871, e il sistema sarà poi ancora per qualche anno adottato dalla vedova Maria Cardelli degli Oddi. Tutte o quasi tutte le ricevute contenute nel fascicolo annuale sono poi da lui numerate (in genere sul retro) e, su un apposito "Elenco" o "Nota" delle ricevute allegato al fascicolo, Angelo riporta numero, causale del pagamento e somma pagata. Questo intervento sovrascrive in parte un precedente metodo di riordinamento, che però doveva essere simile, visto che sulle ricevute della seconda metà del XVIII secolo, originariamente conservate in "filze" di cui si conserva ancora qualcuno dei cartoni posti in cima e in fondo alla pila per tenere ferme le carte ("Filza I. Ricevute dal dì Primo Novembre 1752 a tutto il dì 31 Maggio 1760", "Filza IIII delle Ricevute dal primo Maggio 1770 a tutto Maggio 1785"), si trova anche un altro numero, di mano di Angelo senior (1730-1794), ed è a questo numero più antico cui ovviamente si fa riferimento nei rimandi alle ricevute presenti nei giornali di entrate e uscite degli anni settanta-novanta del XVIII secolo. Vista la presenza degli elenchi ottocenteschi delle ricevute redatti seguendo la nuova numerazione, utilissimi come mezzi di corredo coevi, e considerato che tale metodo è adottato da Angelo iunior non solo per riordinare le ricevute antiche ma anche quelle della sua gestione, si è preferito in questo caso conservare il metodo di ordinamento più recente.
Continua a mancare purtroppo un inventario dell'archivio, con l'eccezione dei già ricordati "Repertorio" degli istrumenti, degli elenchi annuali delle ricevute e di altri elenchi e "ricordi d'istrumenti" che però sembrano avere carattere provvisorio o di abbozzi.
Dopo la morte di Angelo nel 1871, la vedova Maria Cardelli degli Oddi continuò per qualche anno a organizzare le carte sulla falsariga del marito, proseguendo la numerazione del "Repertorio" dei contratti e formando i fascicoli delle ricevute per gli anni a partire dal 1872. Per gli ultimi anni (si è scelto come data indicativa per considerare chiuso l'archivio degli Oddi l'anno 1881, in cui l'unica figlia di Angelo, Maria Vittoria, sposa il marchese Luigi Marini, anche se in archivio vi è anche documentazione fino al 1904, anno della morte di Maria Cardelli), però, la documentazione appare spesso meno ordinata.
Come detto all'inizio, la situazione dell'archivio precedente all'attuale riordinamento era dovuta a un intervento effettuato nella prima metà del XX secolo dagli allora proprietari, la famiglia Marini Clarelli, e in particolare da Angelo Marini Clarelli (1882-1961), figlio di M. Vittoria. Angelo, che si servì dell'archivio anche per fare ricerche storiche sui suoi antenati (fu autore col fratello Antonio dell'opuscolo Alcune memorie artistiche riguardanti la famiglia degli Oddi, del 1906), adottò un criterio di ordinamento cronologico, distribuendo le carte in 58 buste e datandole in modo approssimativo (ad es. "Prima metà del 1700" o "Angelo degli Oddi"), così facendo però spesso smembrando o separando fascicoli e unità tra loro connesse. Le eccezioni a questo criterio erano quattro buste che aveva invece intitolato "Lettere di prelati, cardinali, principi, duchi e altezze", "Notizie storiche riguardanti la famiglia", "Quadri della famiglia e notizie artistiche varie" e "Carte varie di varie epoche". Il riordinamento attuale non ha tenuto conto di questa sistemazione recente, che non permetteva più di leggere il metodo di organizzazione delle carte voluto dal soggetto produttore senza fornire altre valide indicazioni, con l'unica eccezione della serie delle "Lettere di prelati, cardinali, principi, duchi e altezze", che, come detto, da varie note sui documenti è ipotizzabile che esistesse anche in passato e della quale Angelo Marini Clarelli aveva fatto un accurato lavoro di schedatura e descrizione tuttora molto utile.
note: Il fondo è stato ordinato e inventariato da Chiara Scionti.
storia istituzionale / nota biografica: Francesco Santi nacque a Perugia il 25 novembre 1914, da Evandro (1877-1971) e Cesira Piccini, originaria di una famiglia di proprietari terrieri di Papiano (presso Marsciano, in provincia di Perugia). I Santi erano originari di Pergola, nelle Marche, ma dal principio del XIX secolo si stabilirono a Spoleto: il nonno paterno di Santi, anch'egli di nome Francesco (1849-1909), fu contabile, consigliere comunale e più volte assessore. A Spoleto Santi trascorse i primi anni di vita e frequentò le scuole elementari e il ginnasio, prima di trasferirsi definitivamente, con i genitori e il fratello Paolo (1923-1983), a Perugia. Dopo la maturità classica conseguita al Liceo "A. Mariotti", si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Perugia, laureandosi nel 1937. Iniziò la carriera di avvocato presso lo studio di uno zio, Ponziano Santi, ma i suoi veri interessi lo spingevano verso la storia dell'arte, per cui, anche su suggerimento dell'allora soprintendente ai monumenti e alle gallerie dell'Umbria, Achille Bertini Calosso, si iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l'Università di Roma nel 1941 (fino al 1957 sostenne vari esami e conobbe, tra gli altri, il professore di Etruscologia Massimo Pallottino, poi suo intimo amico, ma non arrivò mai a conseguire la laurea). Nel periodo della guerra e dell'occupazione tedesca, Santi partecipò all'attività antifascista e alla Resistenza, prendendo parte alle azioni della brigata partigiana "San Faustino": nel 1959 per il suo impegno ottenne la Croce al Merito di guerra per attività partigiana. Si avvicinò al Partito Liberale Italiano, da lui rappresentato per circa un anno, nel 1944-1945, all'interno del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale. L'impegno politico di Santi proseguì per un decennio, sempre nel Partito Liberale, con vari incarichi a livello locale, fino alle dimissioni nel 1955, motivate anche da una crescente divergenza fra le sue convinzioni personali e la linea del partito. Nominato, nel luglio 1944, immediatamente dopo la liberazione di Perugia da parte degli Alleati, vicecommissario dell'Accademia di Belle Arti "P. Vannucci" (al fianco del commissario Mariano Guardabassi), si dedicò subito a stilare l'inventario del patrimonio posseduto dall'istituzione, vi tenne corsi di storia dell'arte e in seguito fu nominato vicepresidente. Nel frattempo, già dai primi mesi del 1945 aveva iniziato a collaborare con la R. Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie dell'Umbria, dapprima come avventizio e svolgendo vari incarichi, vincendo nel 1949 il concorso per segretario, ma continuando a interessarsi prevalentemente a compiti di tipo scientifico: fin dai primi anni difficili del dopoguerra fu molto attivo per la tutela delle opere d'arte presenti nel territorio, intervenendo per correggere situazioni di degrado e di pericolo e impedire traffici e vendite illeciti. Nel 1946 venne chiamato dall'allora soprintendente Achille Bertini Calosso a far parte del Comitato ordinatore per la raccolta storico-topografica della città e del territorio di Perugia, una collezione museale volta a illustrare le trasformazioni urbanistiche della città e che fu esposta all'interno della Galleria Nazionale dell'Umbria fino al 1973. Nel 1948-1949 collaborò all'impresa del restauro della Fontana Maggiore di Perugia, su cui pubblicò una relazione tecnica all'interno del volume La Fontana di Perugia, di Giusta Nicco Fasola (1951). Pur avendo come campo di studi privilegiato la storia dell'arte medievale e moderna, nel 1951 Santi organizzò presso l'Accademia dei Filedoni una mostra della pittura dell'800 a Perugia, di cui curò il relativo catalogo, introducendo all'attenzione della comunità scientifica un argomento all'epoca praticamente ignorato dalla critica e dagli studi. Nel 1952, in stretta e armoniosa collaborazione col nuovo soprintendente Gisberto Martelli, in carica fino al 1966, iniziò il vasto progetto di studio e catalogazione delle opere conservate presso la Galleria Nazionale dell'Umbria e di riordinamento e riallestimento, secondo moderni criteri museografici, delle sale del museo; contestualmente, vennero promosse campagne di restauro, di cui venne data accurata notizia in diverse mostre tenute negli anni 1953-1956, con la pubblicazione dei relativi cataloghi. La Galleria, dopo i lavori di sistemazione, veniva riaperta al pubblico il 18 marzo 1955. Intensa l'attività di Santi anche sul territorio umbro, con l'attenta valorizzazione e riorganizzazione di realtà museali minori, tra cui le pinacoteche comunali di Gubbio, Nocera Umbra (di cui pubblicò il catalogo nel 1957), Gualdo Tadino, e del Museo della Castellina a Norcia, inaugurato nel 1967 su suo impulso. Nel 1964 vinse il concorso di ispettore tecnico nel ruolo degli storici dell'arte in servizio presso le soprintendenze: impostò e avviò in questo periodo un importante progetto tuttora attivo, la raccolta di fotografie di opere sul territorio umbro, strumento fondamentale per qualsiasi azione di tutela. Nel 1966 divenne direttore della Galleria Nazionale dell'Umbria. Nell'estate del 1968, fu protagonista del fortunato ritrovamento di una delle statue marmoree degli "scribi", opera di Arnolfo di Cambio per la fontana da lui realizzata a Perugia nel 1281 e poi smantellata: grazie al tempestivo intervento di Santi, la preziosa opera, rinvenuta presso una villa privata nei dintorni di Perugia, venne acquistata dallo Stato ed entrò a far parte della collezione della Galleria Nazionale dell'Umbria, dove già si trovavano altre parti del monumento; Santi pubblicò la scoperta e un primo studio della statua nell'articolo Un altro scriba di Arnolfo per la fontana perugina del 1281, in "Paragone", n. 225, novembre 1968, pp. 3-10. Nel 1969 pubblicò il primo volume (Dipinti, sculture e oggetti d'arte di età romanica e gotica) della sua maggiore fatica editoriale, il Catalogo della Galleria Nazionale dell'Umbria, frutto del suo lungo lavoro di studio e catalogazione. Vincitore del concorso per direttore nel 1970, venne nominato nel 1973 reggente temporaneo della Soprintendenza alle Gallerie e ai Monumenti dell'Umbria (a lungo si adoperò perché una Regione con un patrimonio artistico di estrema ricchezza come l'Umbria avesse una Soprintendenza alle Gallerie distinta da quella per i Monumenti), nel 1974 completò l'ampliamento della Galleria Nazionale dell'Umbria, con l'importante inserimento nel percorso museale della Sala Podiani, già sede di uffici comunali, e l'allestimento di nuovi spazi per le opere dei secoli XVI-XVIII: la nuova ala del museo venne inaugurata il 27 aprile 1974 alla presenza del Ministro della Pubblica Istruzione. Nel 1975 Santi venne nominato Soprintendente ai beni ambientali, architettonici, artistici e storici dell'Umbria: numerosi gli interventi di restauro a edifici e opere d'arte svoltisi sotto la sua direzione, tra cui quelli del Duomo e del Palazzo papale di Orvieto (con la sistemazione in esso delle collezioni del Museo dell'Opera del Duomo), del Tempio di S. Fortunato di Todi, degli affreschi della Basilica superiore di S. Francesco di Assisi, di quelli di Raffaello nella chiesa di S. Severo di Perugia e di quelli del Pintoricchio nella Cappella Baglioni nella chiesa di S. Francesco di Spello. Il suo impegno a difesa del patrimonio artistico locale e nazionale si esplicò anche nei numerosi incarichi temporanei di cui fu investito, tra cui quello all'interno della Commissione nazionale per le opere d'arte all'aperto nel 1979. Nel novembre del 1979 Santi venne collocato a riposo: nominato conservatore onorario della Galleria Nazionale dell'Umbria, proseguì, assieme ad altri lavori, l'impresa della pubblicazione del catalogo del museo, che si arricchì nel 1985 del secondo volume (dopo quello del 1969), dedicato a Dipinti, sculture e oggetti d'arte dei secoli XV-XVI; secondo le intenzioni di Santi, avrebbe dovuto seguirne un terzo per le opere dei secoli XVII-XIX, ma la situazione di degrado in cui venne a trovarsi la Galleria nella seconda metà degli anni ottanta e nei primi anni novanta (su cui Santi intervenne più volte, anche pubblicamente) glielo impedì. Accanto all'attività amministrativa, dirigenziale e di tutela, Santi portò sempre avanti anche quella scientifica: fra le sue pubblicazioni maggiori, oltre a quelle già citate, Perugia. Guida storico-artistica (Grafica ed., 1950), La Nicchia di S. Bernardino (Electa, Milano, 1963), la monografia Vincenzo Danti scultore (Volumnia, 1989), e numerosi altri articoli apparsi nel "Bollettino d'arte" (organo ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione) e in riviste scientifiche. Collaborò a lungo con l'Istituto Treccani per la stesura di diverse voci del Dizionario Biografico degli Italiani. La sua attività scientifica proseguì anche negli ultimi anni, con partecipazioni a convegni e seminari e cicli di lezioni tenute all'Università per stranieri di Perugia.
Membro di varie associazioni cittadine e partecipe alle questioni urbanistiche e di vita cittadina (ancora alla fine del 1990 veniva invitato a far parte della Commissione per il consolidamento, restauro e conservazione della Fontana Maggiore, impresa che seguì con vigile attenzione), socio della Deputazione di storia patria per l'Umbria dal 1956 (e dal 1961 al 1984 vicepresidente, quindi consigliere), membro del consiglio di amministrazione della Fondazione culturale Orintia Carletti Bonucci e giurato del Nobile Collegio del Cambio, nel 1970 Santi aveva sposato Barbara Marini Clarelli (1929-2007), restauratrice, discendente della nobile famiglia perugina dei degli Oddi e ultima proprietaria di una ricca collezione artistica, studiata da Santi in un'opera pubblicata postuma nel 2014 (Una collezione seicentesca a Perugia): i due coniugi decisero che, alla loro morte, fossero aperti alla fruizione del pubblico e degli studiosi le collezioni artistiche, la biblioteca e l'archivio storico, costituendo una Fondazione privata (Fondazione Marini Clarelli Santi). Santi morì a Perugia il 29 gennaio 1993.
storia archivistica: L'archivio di Francesco Santi è costituito dal complesso della documentazione formatosi nel corso della sua attività di studioso, storico dell'arte, critico, funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero per i Beni culturali e ambientali, nonché amministratore del suo patrimonio privato. In origine, l'archivio era conservato nell'abitazione privata di Santi, in via del Lauro a Perugia. Non si ha notizia di inventari o mezzi di corredo coevi, né sulla documentazione compaiono note archivistiche o classificazioni. Probabilmente dopo la morte di Santi, nel 1993, la vedova, Barbara Marini Clarelli (1929-2007), intervenne sul materiale in suo possesso, costituendo alcuni fascicoli (si riconosce la sua grafia nei titoli), ma nel complesso l'archivio, fino alla morte di Barbara nel 2007, non subì interventi di rilievo, e anzi venne riposto senza particolare ordine. Nel 2007, una disposizione testamentaria di Barbara Marini Clarelli assegnò la biblioteca del marito alla Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici dell'Umbria; in effetti, fu poi la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Umbria ad acquisire il fondo librario. Al momento del trasporto dei volumi dall'abitazione in via del Lauro alla nuova sede a Perugia, in via Ulisse Rocchi, vennero però prese per errore anche alcune carte dell'archivio di Francesco Santi, che un funzionario della Direzione Regionale organizzò in fascicoli numerati e collocò all'interno di sette buste, redigendo contestualmente un elenco di consistenza.
Il resto dell'archivio fu trasportato nel 2013 da via del Lauro alla sede dell'attuale soggetto conservatore, la neocostituita Fondazione Marini Clarelli Santi, a Palazzo degli Oddi in via dei Priori: come detto, le carte furono trovate in totale disordine, sciolte e riposte in cassetti o in altri punti dell'abitazione, e in quell'occasione ci si limitò a condizionarle in scatoloni. Di questo nucleo facevano parte anche alcune carte sciolte e registri appartenenti a ciò che rimane degli archivi delle famiglie Santi e Piccini (antenati di F. Santi).
L'occasione per ripensare all'organizzazione dell'archivio Santi fu data dal convegno "Per Francesco Santi. Incontro di studio" (Perugia, 22 novembre 2014): la studiosa che si occupò di ricostruire la biografia di Santi, Laura Zazzerini (curatrice scientifica della Fondazione Marini Clarelli Santi), auspicò per prima che l'archivio venisse riunito in un'unica sede. Tale obiettivo fu raggiunto nel febbraio 2015, quando la Soprintendenza archivistica per l'Umbria espresse parere favorevole circa la restituzione delle carte prodotte da Francesco Santi conservate presso la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Umbria alla Fondazione Marini Clarelli Santi: nell'occasione venne chiesto a quest'ultima di approntare un nuovo elenco di consistenza complessivo dell'intero archivio e inviarlo in Soprintendenza. Il lavoro, iniziato a febbraio, venne concluso nell'aprile 2015: con l'eccezione delle buste provenienti dalla Direzione Regionale, che vennero lasciate nella situazione in cui erano state consegnate, il resto dell'archivio venne condizionato in buste e organizzato in vari "fascicoli"; mentre in parte venne fatto un tentativo di sistemazione per criterio tipologico, riunendo ad esempio la corrispondenza in vari fascicoli consecutivi, per lo più le carte vennero semplicemente condizionate in mucchi eterogenei di "carte varie" o descritte minutamente a livello di unità documentaria. Il risultato di questa operazione fu un elenco che sarebbe servito, nel lavoro di riordinamento, come primissimo strumento per identificare il materiale. Nel maggio 2015 venne avviato il procedimento per dichiarare di interesse storico particolarmente importante l'archivio privato di Francesco Santi.
Nel 2016 è stato avviato e portato a termine il lavoro di riordinamento e inventariazione dell'archivio, effettuato da Chiara Scionti e finanziato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Separato in fase preliminare e di studio il materiale di natura bibliografica e identificati e distinti i piccoli nuclei degli archivi della famiglia Santi e della famiglia Piccini, constatata quindi l'impossibilità di ricostruire con certezza l'ordinamento originale, vista la mancanza di indicazioni esplicite del soggetto produttore e i pesanti interventi pregressi, è stato deciso di non tenere in alcun conto i risultati dei precedenti ordinamenti (solamente le unità sicuramente costituite dallo stesso Santi, riconoscibili dalla grafia del titolo sulla busta o sulla camicia, andavano mantenute intatte) e di delineare un albero delle serie che fosse contemporaneamente coerente con le scarse tracce superstiti lasciate dal soggetto produttore (ad es., la presenza di fascicoli originali relativi a determinate pubblicazioni ha portato a creare la serie corrispondente, o il fatto che il carteggio con una stessa persona fosse spesso riunito insieme con un punto metallico ha fatto optare, per una parte della corrispondenza, per un ordinamento per nome prima che cronologico) e funzionale alle future ricerche.
Ove necessario, il materiale è stato ricondizionato, i fascicoli sono stati numerati e cartulati. L'inventario è stato inserito, nel formato XML-EAD, nella piattaforma web-based xDams, ed è ora consultabile dal sito della Fondazione Marini Clarelli Santi o in sede in formato cartaceo.
note: Il fondo è stato ordinato e inventariato da Chiara Scionti.